I giardini dell'anima
Camminando per i mirabili
giardini petrarcheschi quasi si ha l'impressione di immergersi in una
fitta rete di arabeschi. Come tanti motivi geometrici e floreali, i dettagli dei luoghi poetici si ripetono
con una precisione meticolosa, privati della loro caducità, per
distribuirsi puri, sottratti al tempo che divora e frantuma. E' la
grazia del verso petrarchesco, così equilibrato e mai dissonate,
controllato fino all'estremo. La storia di Francesco e Laura è
giocata tutta sul classicismo razionale del verso, che ripete,
mediante smontaggi e combinazioni, immagini care al poeta e a tanta
tradizione che l'ha preceduto. Per scendere un po' più sul pratico,
i giardini, i boschi ameni e i luoghi dell'amore si configurano come
realtà esterne rarefatte e impalpabili. La genericità della scelta
poetica non ci consente di rappresentare in uno schizzo i luoghi
memorabili dell'incontro con Laura. Al poeta non interessa descrivere
gli spazi, per questo il laureto può essere sostituito da qualsiasi
altro genere di pianta, e il ruscello può prendere il posto di un
laghetto o di uno specchio d'acqua. L'impressione è sempre la
stessa, quella di un luogo ameno, simile a tantissimi altri luoghi
della tradizione. La stessa amata è un essere impalpabile e
rarefatto. Così la lettura del Canzoniere petrarchesco sembra
proporci situazioni molto simili fra di loro, quasi che il poeta
torni sempre sui suoi passi, anche dopo aver tentato di riscuotersi.
Non ha nulla di casuale questa scelta, perché la storia dell'amore
petrarchesco coincide con quella dell'anima poetica. Non è la
vicenda di Laura, ma quella di Francesco. Attraverso il racconto
delle sofferenze e delle gioie, il cantore si apre a una confessione
tutta umana. Mentre scorrono i versi, si libera il tormento del poeta
che, legato ancora alla concezione dell'uomo medievale, cerca
tuttavia la strada della conciliazione. Al dilemma amore
terreno/amore divino, Francesco non riesce a dare una risposta, così
il Canzoniere diventa il simbolo di un pellegrinaggio senza meta, di
un errare senza posa, laddove la possibilità di un po' di pace è
assicurata da quel verso poetico così limato e controllato.